Sergio Fontana, CEO di Farmalabor.

 

 

Chi è Sergio Fontana?

Uno che non ha mai mollato, semplicemente. Anche quando nulla lasciava presagire il successo e, al contrario, vi erano chiari segnali in senso decisamente contrario, non ho smesso di credere. E, naturalmente, di impegnarmi affinché quello che mi ero prefissato come obiettivo divenisse realtà. Ci sono stati dei momenti bui, come immagino in tutte le storie, grandi o piccole, di successi. Ci sono stati fallimenti, non mi pesa ammetterlo. Quello che, in qualche modo, posso dire avermi salvato è non aver perso la voglia di continuare, di dare il massimo, di fare del mio meglio. Oggi sono un imprenditore, come ce ne sono tanti nella mia Puglia, che continua a barcamenarsi tra mille imprevisti, mille difficoltà per mantenere in stabilità la propria azienda. Perché, alla fine, l’imprenditore è proprio colui che non si ferma mai, che non si dice mai arrivato. Che quando raggiunge un traguardo, sta già pensando a quello futuro. 

La Farmalabor è diventata un fiore all’occhiello nel settore galenico di qualità, come ci è riuscito?

Alla base, c’è sicuramente una giusta intuizione di partenza: quella di fornire risposte a specifiche esigenze nel settore farmaceutico. La galenica altro non è che l’arte di preparare dei farmaci personalizzati e non in maniera ‘standardizzata’, ovvero come ragionano le case farmaceutiche. Abbiamo coniugato questa determinazione a voler ripartire dagli individui, dalle singole persone, a studio costante e competenza. Per esempio, abbiamo investito moltissimo nella ricerca, al punto che, oggi, la Farmalabor è sede di diverse attività di ricerca e sviluppo realizzate in sinergia con le Università di Bari, di Lecce e di Milano. In altre parole, ci siamo riusciti grazie a quell’elemento che, da sempre, muove le cose e fa compiere le più grandi imprese: la passione. Una passione che si manifesta nell’attenzione ai dettagli, nello scrupolo, nella premura. Direi quasi nel perfezionismo. Elevando, di volta in volta, l’asticella dei nostri standard di qualità, verso il raggiungimento dell’eccellenza.

L’impegno di Farmalabor nella ricerca scientifica e nella formazione crede siano i fattori principali del suo successo?

‘Ni’. Come in ogni meccanismo complesso, è la somma di molteplici fattori che favorisce il successo e quelli citati sono stati sicuramente determinanti nel percorso che ci ha condotto fin qui. Tuttavia, se dovessi individuare l’elemento principe attorno al quale tutto il resto si è innestato, direi le persone. La componente umana è quella in cui ho avuto maggiore fiducia, e non a torto. Ho cercato di avvalermi delle risorse migliori e, in più di un’occasione, mi sono fidato del mio istinto. Credo, in definitiva, che i massimi investimenti nella ricerca o nella formazione non avrebbero condotto a nulla se non ci fossero state delle persone a rendere ‘vivi’ e creativi quei processi industriali. Sono esse, per me, le risorse più preziose di un’azienda e la chiave che ne determina il successo o l’insuccesso. I risultati, almeno fino a questo momento, ci hanno dato ragione e, oggi, in Farmalabor possiamo dire che è anche grazie a loro se abbiamo un ruolo da protagonisti nella storia dell’industria galenica italiana.

Lei è un uomo ottimista nonostante le difficoltà che sorgono quotidianamente nel gestire un’impresa così complessa. Come ci riesce? 

Devo essere onesto, probabilmente c’è una fortunata componente congenita nel mio modo di fare. Mio nonno, con il quale trascorrevo molto tempo da bambino, mi ha istintivamente educato ad assumere un atteggiamento estremamente pragmatico dinanzi alle avversità, mi ha trasmesso quel senso pratico a non ‘perdermi in un bicchier d’acqua’, ma è soprattutto da mia madre che ritengo di aver acquisito una innata tendenza all’ottimismo. A guardare al ‘bicchiere mezzo pieno’, per rimanere nella metafora. A considerare gli aspetti positivi in maniera prevaricante rispetto a quelli negativi o manchevoli, prima di affrontare un’impresa.

Pensa che l’industria farmaceutica di qualità possa avere un futuro importante in Albania? 

Assolutamente sì. L’Albania ha le materie prime ed è un Paese giovane, nel vero senso della parola visto che l’età media è nettamente inferiore a quella italiana ed europea. Se a ciò si aggiunge che moltissimi albanesi tornano qui dopo aver studiato altrove o, addirittura, da qualche anno a questa parte, si riscontra la generale tendenza di molti universitari che vengono qui a perfezionare la propria formazione accademica, specie in ambito medico e sanitario e, ancora, che la concorrenza si manifesta, allo stato attuale, in misura assolutamente contenibile si ha la fotografia abbastanza nitida di un Paese che ha capitale umano adeguato e fattori chiave per un potenziale successo dell’industria di settore. Poi, si guardi a due aspetti: l’industria farmaceutica/cosmetica è, oggi, uno fra i settori in maggiore e più rapido sviluppo e l’Albania è l’hub strategico per lo sviluppo e la diffusione dell’innovazione farmaceutica verso l’area Balcanica. Si traggano le conseguenze…

In qualità di Presidente di Confindustria Albania vorremmo che lei ci tracciasse una guida pratica per chi volesse fare investimenti nel Paese.

L’Albania presenta una condizione di partenza abbastanza favorevole per gli investimenti, per aspetti come il costo basso della manodopera, una politica fiscale più lieve, specie in confronto a quella italiana, e prezzi generalmente più bassi delle proprietà immobiliari. Questi sono i motivi per cui ha preso piede, qui, un certo tipo di industria, ovvero quella che basa una buona parte dell’investimento proprio sulla manodopera: industrie del comparto tessile, calzaturiero e della lavorazione di materiali come legno, carta o semilavorati destinati all’edilizia, che risultano ulteriormente agevolate dalla diffusione della lingua italiana e da una logistica dei trasporti abbastanza efficiente. Tuttavia, sono anche altri gli aspetti che stanno facendo parlare di questa come della ‘terra delle opportunità’: la sua posizione strategica di ‘porta’ dei Balcani e le molte opportunità fornite da quei settori in modesta competizione nazionale, ancora non saturi o pressoché inesplorati che rappresentano un potenziale mercato per i Paesi europei. Uno fra tutti? Penso all’industria del turismo. L’Albania è un Paese che presenta una natura ancora largamente incontaminata ed un potenziale turistico di indubbio interesse. Tuttavia, a fronte del costante aumento del numero di visitatori, l’offerta turistico-ricettiva è ancora molto disorganizzata. Un altro esempio è quello relativo al suo notevole potenziale energetico. Grazie all’apertura del mercato delle concessioni per la realizzazione di nuovi impianti e il riammodernamento di quelli esistenti nonché a politiche di apertura totale nei confronti di progetti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, negli ultimi anni, vi è stato un interesse crescente da parte degli investitori stranieri per l’Albania ma, in questo settore, essa offre ancora ottime prospettive d’investimento. Ma sono agricoltura e infrastrutture i settori in cui forse ancora maggiormente si ravvisano potenzialità molto consistenti di investimento. Il potenziale, insomma, c’è, ma occorre anche non cadere nel rischio di credere in investimenti facili, sicuri o immediatamente redditizi. Essi non esistono né qui né altrove e il concetto di ‘investimento’ reca necessariamente con sé quello di un rischio associato. Il consiglio a chi voglia investire è quello di fare delle dovute e attente analisi, di avvalersi, se occorre, della consulenza di professionisti sugli strumenti normativi o fiscali da utilizzare e, sopra ogni cosa, di affidarsi alla propria propensione e intelligenza. Analisi e buon senso sono alla base di ogni investimento.

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